venerdì 20 aprile 2018

Il peso specifico delle parole "stuprate" #Radionofrontiereblog

Nell' era delle immagini, forse, riusciamo a decodificare solo quelle. Sembra chiaro, infatti, che abbiamo un grosso problema con le parole, con il loro peso specifico. Vivendo in una società che predilige "le figure", probabilmente, anche delle parole, riconosciamo solo la forma, quello che, tecnicamente, in linguistica si definisce "significante", la "fisicità" del segno linguistico, la parte grafica e fonetica, ma ne eludiamo il significato. La forma, infatti, rinvia al contenuto, ma evidentemente non tutti sono in grado di attuare questo processo di base. Non può essere che così, altrimenti alcune cose non si spiegano. Esistono linguaggi "settoriali", quello nautico, per esempio, o, più vicino a tutti noi, quello sportivo. Alcuni termini, appartenenti alle varie "settorialità", sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune e sono stati acquisiti da esso in maniera naturale, senza che venga stravolto il concetto che si vuole esprimere. Il problema pare sorgere, invece, nel processo inverso. Quando, cioè, utilizziamo espressioni, parole forti, termini "carichi" di significato e che appartengono ad un contesto e un concetto specifico, per parlare di argomenti che possono anche essere ritenuti "leggeri" dai più. Spesso, parlando di calcio, per esempio, si utilizzano parole come "fallimento", tragedia, catastrofe, dimenticando la valenza di simili termini, ai quali, nonostante tutto, sembra ci si sia abituati. In alcuni casi, però, non è così, non può essere così. Definire una decisione arbitrale "stupro" è qualcosa di veramente inammissibile, non consentito, vergognoso. Significa, davvero, non intendere cosa si nasconda, quanto dolore e sofferenza, possano esserci dietro una parola del genere, una violenza del genere.
Lo stupro è un atto vigliacco, meschino, turpe, squallido, viscido. E' in casi come questo che la mente dovrebbe rimandare ad immagini poco edificanti! Adesso, se proprio si vuol tentare di giustificare, sempre e qualsiasi cosa, con l'alibi dell' agonismo, va bene, ma dopo? Il commento a caldo di Benatia, calciatore della Juventus, che ha definito uno stupro l'assegnazione di un calcio di rigore, seppur "sportivamente" doloroso per chi lo subisce, rientra, di diritto, in questo discorso. O il ragazzo non si rende conto del senso della parola che ha usato, o la ritiene talmente di poca rilevanza da utilizzarla per una "frivolezza" qual è un calcio di rigore. Anche perchè, ci vuole poco a giungere al top dello squallore e della meschinità. Infatti, il passo è stato breve e repentino e si è arrivati ad augurarlo, lo stupro. Come se fosse il più banale degli improperi, come se fosse il più ridanciano dei messaggi subliminali...Le parole feriscono, perchè pregnanti, dense, inoppugnabili. Una volta si usavano frasi tipo "abbassare i toni" o "moderare il linguaggio", adesso pare ci si auspichi l'esatto contrario. Più colpisci pesante, più ci vai giù duro, più cogli nel segno, più sei degno di stima, di consenso, di followers. Che poi lo stupro abbia cambiato la vita di migliaia di donne in negativo, minandone per sempre corpo e psiche, è relativo, anzi irrilevante...Si perde sempre l'occasione per tacere, d'altra parte, "il silenzio è d'oro" è una frase che, seppur racchiudendo un'immagine, risulta solare, positiva, non adatta al clamore. Il silenzio è degli innocenti, di quelli che in Tv e sui social ci vanno raramente, diciamo mai.

a cura di Gabriella Calabrese        

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